IL GIOCATTOLO ITALIANO
Ben pochi tra i giocattoli qui esposti appartengono a produzioni italiane. L’Italia compare sul mercato del giocattolo assai tardi, rispetto al resto d’Europa. La sua assenza, che può apparire strana in un paese per tradizione dotato di notevole sensibilità affettiva nei confronti dell’Infanzia e celebre in tutte le forme di arte e di artigianato, è motivata da ragioni sociali, storiche e culturali. La suddivisione in piccoli stati non favoriva la comunicazione e l’evolversi dei commerci, la scarsità di materie prime orientava la produzione verso i generi di prima necessità e – soprattutto – l’aspetto tipicamente religioso della cultura popolare appagava la propria creatività nell’animare spettacolari presepi.
Verso la fine dell’800 i nostri emigrati cominciarono a proporre, al loro rientro, la costruzione di giocattoli ma non era pensabile poter competere con l’industria d’oltralpe organizzata già da decenni. Solo dopo la prima guerra mondiale l’Italia propone i suoi giocattoli con diverse e importanti industrie: Le bambole Lenci e Furga, i giocattoli in latta Ingap e Cardini; firme leggendarie, i cui prodotti splendevano per originalità, estro ed eleganza creativa.
IL GIOCATTOLO DIDATTICO
Fin dal 1600 erano state individuate le strette correlazioni esistenti tra i processi di apprendimento, l’interesse e la partecipazione attiva. Già a inizio ‘800 La via alla “Metodica del Gioco” suggerisce che l’acquisizione delle nozioni logiche fondamentali introduca all’astrazione della realtà. La cultura – tuttavia – continuava ad essere un privilegio elitario contro cui si spegneva ogni intuizione pedagogica. Accettata la funzione del Giocattolo quale tramite tra la realtà interiore del bambino e il mondo che lo circonda, se ne cercò un uso strumentale; funzionale a preparare la nuova generazione alla difesa di ruoli sociali pretesi come “istintivi”.
Il futuro era segnato dal censo e dal genere del bambino e anche il suo giocare doveva piegarsi ai “progetti” della famiglia di provenienza e ai valori di riferimento dominanti, spesso opportunistici. Solo alla fine del secolo XIX, al sorgere di condizioni politiche ed economiche tali da coinvolgere nei programmi educativi le neonate classi intermedie, si diffondono proposte ludiche che invitano una sperimentazione ludica autonoma: sperimentare e verificare, esercitando i sensi quali “parte dell’intelletto”.
IL CIRCO E IL TEATRO
Il gioco della rappresentazione, nei suoi diversi aspetti, accompagna la storia dell’uomo perché ha profonde connessioni con la tendenza infantile a dotare di suggestioni animistiche ogni elemento dell’ambiente circostante. La storia della marionetta si perde nella notte dei tempi e probabilmente si sovrappone a quella degli idoli, dei feticci, delle maschere. Il burattino nasce invece nel 1600 e la sua arte diventa familiare tra corti e paesi, per la gioia di nobili patrizi come di scalzi monelli. L’inesauribile miniera della cultura e delle tradizioni popolari dà alla luce dei personaggi che ancor oggi godono di eterna giovinezza: Punch in Inghilterra, Hanswurt in Germania, Pulcinella in Francia e in Italia.
Anche lo spettacolo del Circo, prima dell’800 riservato a platee selezionate, apre il palcoscenico all’applauso del piccolo pubblico; ricco di colori, tra risate, esercizi mozzafiato e fiere mai viste. Non poteva mancare l’interesse del giocattolo per questa favolosa compagnia di personaggi, al punto che acrobati, clown e domatori diventano sinonimo stesso di balocco e il tendone del circo il loro palazzo incantato. Il bambino non è solo spettatore: diventa attore e regista.
FACCIAMO FINTA CHE…
Testimone di epoche e culture, la Storia traduce delle bambine nello scegliere come compagni di gioco, oggetti di varie forme, materiali e disponibilità riassumibili nei termini di “Bambola”. Più che un oggetto, più che un gioco, la Bambola è una benevole sibilla capace di gettare luce su aspetti della personalità ancora ignoti. La bambina, infatti, tende, quando gioca, a proiettare sogni, segreti e aspirazioni nell’immagine creata, svelando così le sue prime attitudini. A differenza dei maschietti, questa immagine non precipita nel vuoto di mondi surreali e immaginifici; atterra sul terreno di un possibile futuro.
Il giocattolo segue l’uomo nella ricerca di autodefinizione fin dall’alba dei tempi. La bambina, oggi come 4000 anni fa, condivide col suo balocco le paure, la tenerezza, i sogni, le ambizioni. E la bambola, povera o splendida, di cera o terracotta, di pezza o di legno, di cartapesta o porcellana, di celluloide o plastica continua ad essere il giocattolo più amato. Col tempo sarebbero arrivati animazioni e suoni, vestitini alla moda e decorazioni ardite; soprattutto sarebbe arrivato, il tentativo di strumentalizzare naturalezza e spontaneità. Ma è proprio un’altra storia.
PER GIOCARE ALLA GUERRA
Soldatini e armi giocattolo appaiono inquietanti perché riproducono o simulano atti di violenza. Di fatto la guerra è una mostruosa realtà di cui anche il bambino ha subito gli orrori; ma è proprio attraverso il gioco che ha modo di liberarsi dalle ansie, di sublimare gli istinti aggressivi e di maturare delle scelte autonome. D’altra parte il gioco della lotta, della competizione, rappresenta per i maschietti quello che il gioco della bambola rappresenta per le bambine. Di sicuro i soldatini, pur già presenti in epoche remote, vivono le proprie risorgenze in ambiti culturali permeati da forti sentimenti nazionalistici; in special modo prima e durante i grandi conflitti bellici.
Ma questa non è che l’ennesima dimostrazione della puntuale corrispondenza tra eventi storici e dinamiche ludiche. Si tentava allora di trasmettere i cosiddetti “valori alti” dell’Arte militare: La Patria, la Bandiera, il cameratismo, lo splendore di uniformi e parate Per lo stesso motivo, terminate le guerre, i soldatini scompaiono, lasciando campo a balocchi che parlano di ricostruzione e fiducia nel futuro. Mostri e alieni in miniatura, sostituiscono i militari umani negli scenari sociali del “Politically Correct”.
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