Un’intervista ad Alessandro Franzini, in occasione dell’apertura a Firenze del Museo del Giocattolo e di Pinocchio.
Alessandro Franzini è direttore del Museo del Giocattolo e del Bambino, fino ad alcune settimane fa visitabile a Cormano, Milano, e che dal 15 aprile ha riaperto i battenti a Firenze, in via dell’Oriuolo 47r, a pochi passi da piazza Duomo. Nel corso della sua storia, questa collezione che è una delle più importanti d’Europa, esposta dal 1982, ha già avuto diverse sedi. Si pensa che un museo sia una creatura statica, invece, non è così, quantomeno non lo è in questo caso. Che siano i giocattoli a conservare la vena avventurosa dell’infanzia?
In effetti, è così. I Bambini, quando giocano, viaggiano nello spazio e nel tempo. In questi 40 anni anche i giocattoli del Museo hanno mostrato, in effetti, una tendenza “errabonda”. Ma in questo modo hanno potuto raggiungere molte più persone. Sono stato un bambino fortunato. I giocattoli del mio tempo non mi sono certo mancati. Tuttavia, sono cresciuto circondato da questi balocchi antichi. Mio padre – antiquario – cominciò a raccoglierli da quando ho memoria, negli anni ’60. Alcuni invece appartengono alla mia famiglia da più generazioni. La prima sede del Museo del Giocattolo fu casa nostra e i primi visitatori furono amici e ospiti, che passandosi l’informazione, tornavano spesso a trovarci con loro conoscenti. Ragionando da fanciullo, era per me incomprensibile vedere i balocchi dietro vetri chiusi a chiave. Diciamo che col tempo avrei avuto la mia “rivincita”.
Il lavoro di mio padre, che aveva negozi sui Navigli, zona allora consacrata all’arte e non agli aperitivi, facilitava i contatti con appassionati e diede il via a un collezionismo di genere, fino a quel momento abbastanza marginale (soprattutto in Italia). La Mostra a Venezia (Palazzo Fortuny) del 1982 fu la prima di una lunga serie che portò la collezione ad essere ammirata a Torino, Parma, Milano, Bergamo, Brescia, Mantova, Roma, Firenze, Messina…e ne cito davvero solo alcune. Una nuova Mostra a Milano, nel 1989, attirò l’attenzione della Regione Lombardia, che considerato il valore culturale dell’esposizione, ci spinse e accompagnò nella realizzazione di un Museo Stabile – in seguito pienamente riconosciuto – proprio sul Naviglio Grande.
Il nome “Museo del Giocattolo e del Bambino” intendeva fin da subito prendere le distanze dagli aspetti puramente tecnici e collezionistici della materia, focalizzando l’attenzione sulla “presenza” di chi giocò con quegli oggetti e approfondendo relazioni storiche, sociali e pedagogiche. Il Museo organizzava laboratori per bambini quando ancora – in tutta Italia – quasi nessuno lo faceva e favoriva ogni tipo di approfondimento relativo alla cultura infantile, in collaborazione con le università e le strutture gemelle sul territorio europeo. L’unanime favore e l’urgenza di poter esporre più materiale, condusse alla ricerca di una nuova sede, inaugurata nel 1995 presso “i Martinitt”, antica istituzione milanese. Un connubio ideale. Fu la stagione della consacrazione. Fino al 2008, le sale furono visitate da centinaia di migliaia di visitatori. Particolare favore fu accordato alle attività didattiche, con centinaia di scuole che inserirono, ciclo dopo ciclo, la nostra visita guidata nei programmi istituzionali. Terminata l’esperienza con i Martinitt, il Museo raddoppiò (caso credo quasi unico) aprendo ben due sedi distinte: una di proprietà della nostra Fondazione (per salvaguardare l’istituzione dai chiari di luna), in un piccolo ma suggestivo paese accanto al “Grande fiume” e l’altra a Cormano, nell’ambito di un ambizioso progetto di “Centro per l’Infanzia” concepito in un momento in cui Milano sembrava interessata a potenziare la cosiddetta “città metropolitana”. Purtroppo il “Bi”, abbandonato a sé stesso, si è rivelato fin da subito insostenibile. Ciò nondimeno, finché lo abbiamo abitato, vi abbiamo realizzato centinaia di attività – gratuite o a prezzo popolare – molto apprezzate dalle famiglie, dalle scuole e da tutti i visitatori, bambini e non. Il nuovissimo Museo di Firenze non è il trasloco da Cormano. È un progetto tutto nuovo che avrebbe anche potuto coesistere, vivendo di vita propria. Le scelte unilaterali della nuova giunta cormanese, certo, hanno accelerato il processo.
Cosa spinge a collezionare giocattoli? L’impostazione e gli obiettivi della collezione sono mutati nel tempo?
È un mistero. Probabilmente una magia. Diciamo che ognuno di noi è toccato da corde speciali, tutte diverse, capaci di accendere passioni che sono solo nostre, anche quando condivise. Le passioni, da che mondo è mondo, da che uomo è uomo, ci signoreggiano e guidano le nostre azioni. Questi giocattoli, questi Musei, la perseveranza nel volerli esporre da ormai 40 anni, sono il nostro piccolo contributo al paese che amiamo; il segno del nostro passaggio.
L’impostazione, molto strutturata fin dagli esordi, non è mutata. Un percorso storico, un altro tematico, approfondimenti stagionali. Non rifiutiamo i supporti tecnologici, ma devono stare al loro posto. Sono perfetti per sostituire la presenza di reperti originali. Ma noi di reperti originali ne esponiamo migliaia. A loro, non a pulsanti da premere, devono andare le “luci della ribalta”. Gli obiettivi? Un obiettivo deve puntare al cielo, ci pensa già la terra a imporre negoziazioni. Scegliamo allora per il Museo, il credo bohémien: “Libertà, Bellezza, Amore e Verità”.
Che importanza culturale rivestono i giocattoli come testimoni delle epoche che li hanno prodotti?
Enorme. Ogni balocco, costruito, regalato o giocato, è testimone di un evento o di un fermento. Osservandoli nella loro prospettiva storica, i giocattoli ci offrono un excursus di assoluta suggestione, talvolta sorprendente e inedito, non di rado impietoso, attraverso la storia delll’uomo. Questo vale oggi, come secoli fa. Osservando i giocattoli è possibile parlare di arte e letteratura, artigianato e industria, politica e religione, scuola e lavoro, società e costume. Nulla fugge loro.
Secondo lei, i bambini, attraverso i giocattoli, sono in grado di influenzare la cultura del proprio tempo?
Quando i bambini sono liberi di scegliere i tempi, i modi e i materiali del proprio giocare, assolutamente sì. Poche attività umane sono fertili come il “facciamo finta che”. Non a caso, numerose invenzioni rivoluzionarie, dal treno al cinema, sono state anticipate dai giocattoli. I bambini sono stati sulla Luna molto prima di Neil Armstrong. Insomma: l’uomo è ludens molto prima di essere promosso sapiens. Il gioco inizia con una visione: il più è fatto. Poi si tratta solo di mettere a posto i numeri. Diverso discorso – opposto discorso – quando gli adulti impongono ai bambini, oggetti atti a indirizzarli. In quei casi, la cultura viene subita. È il caso dei giochi di propaganda militare, delle attribuzioni di genere, delle strumentalizzazioni di ceto.
Come è avvenuto l’incontro con l’associazione fiorentina Pinocchio a Casa Sua, di cosa si occupa e in che modo si è realizzato il matrimonio fra le storie delle due istituzioni?
Dai “facciamo finta che”, naturalmente. A furia di frequentare gli stessi ambienti, gli stessi interessi, ci si incontra. Il Museo del Giocatttolo e di Pinocchio nasce da una serie di incontri, inizialmente scherzosi, poi via via più entusiasti tra Giuseppe Garbarino, Presidente dell’Associazione Culturale Pinocchio a Casa Sua e il sottoscritto. Entrambi appassionati dell’opera di Collodi e della cultura ludica. Fino al XIX secolo – e Pinocchio ne è un buon esempio – il giocare, perfino a livello di lemma, veniva spesso considerato antitetico al la voro e alle occupazioni “nobili”. Ne consegue che un uso di giocattoli, fuori dai contesti propedeutici (di cui sopra), fosse spesso sconsigliato. Il paese dei balocchi è descritto come negazione dei codici umani e causa di trasformazione asinina. Questo sodalizio riconsegna Pinocchio ai balocchi, ma con ben altri presupposti. Il gioco è fonte di apprendimento, conoscenza, esercita la capacità di astrarre e aiuta a cercare il proprio posto nel mondo. Ogni giocattolo ha una storia da raccontare. Noi ne raccontiamo alcune, ma va detto che loro sono bravissimi a farlo da soli.
Quali cambiamenti ha comportato per il museo il trasloco nella nuova sede museo fiorentina?
Ogni territorio ha un suo milieu specifico. Non basta una vita per comprendere davvero Firenze e la Toscana. Inoltre, la ricchezza artistica e culturale del quartiere in cui si inaugura il nuovo Museo (a pochi metri da Piazza Duomo, Piazza della Signoria, gli Uffizi e Ponte Vecchio) è davvero sbalorditiva. Penso che solo Roma, in tutto il mondo, possa vantare analoghi crediti. Con la differenza che Roma distribuisce le sue meraviglie in una superficie ben più ampia. Qui, ad ogni passo, il cuore perde un battito. Quindi, per un verso la Fondazione Franzini è fiera di poter aggiungere una goccia a questo oceano di bellezza. Peraltro entriamo in punta di piedi; guardiamo e ascoltiamo con attenzione e infinito rispetto. In questo (e non solo in questo) è un sollievo poter contare sull’associazione culturale Pinocchio a casa sua, che ci aiuta ad apprendere e decodificare. D’altro canto – chiedo perdono per il confronto irriverente, ma non resisto – ci sono interessanti precedenti di milanesi che ebbero successo venendo a “sciacquare i panni in Arno”, giusto?
Quali novità potrà trovare il visitatore nel nuovo allestimento?
Innanzitutto sarà lui (loro) a dirci cosa vorrebbe trovare. Il Museo del Giocattolo e del Bambino è sempre stato pensato come luogo di incontro, partecipazione, scambio. Anche scontro, sì. Un Museo in continuo progress, in merito alle esposizioni e in merito alle attività. Di sicuro sarà rinforzata la sezione delle mostre tematiche temporanee, ospitando anche collezioni esterne. Ci saranno supporti audiovisivi e – considerata l’eterogeneità linguistica dei visitatori – tutte le infografiche saranno tradotte. Gli spazi, fuori dagli orari di apertura (tutti i giorni, 10.00-18.00), saranno utilizzati per attività seminariali correlate o in contocircuito.
Sono o saranno previste visite speciali pensate per i bambini e attività a loro rivolte?
Il compito istituzionale del Museo è quello di salvaguardare e tramandare la memoria storica dell’infanzia. Le visite guidate sono pertanto diversificate, per toni e contenuti, a seconda dell’età e del grado scolastico dei bambini coinvolti. In questo modo potremo accogliere ogni classe, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, innescando per strade diverse lo stesso piacere e interesse. A breve, attiveremo laboratori di costruzione di giocattoli con materiali di recupero, intrattenendo i figli (e. in sotto testo, permettendo ai padri di andare nel frattempo a visitare l’ennesimo capolavoro dell’arte). Inoltre, per meglio coinvolgere i più piccoli, proporremo loro di cimentarsi – durante la visita – in alcuni divertenti giochi e caccie al tesoro.
Articolo pubblicato su Topi Pittori.